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SERIE A – Governo, Figc, Lega, calciatori: a chi resterà il cerino in mano?

Era il più classico dei segreti di Pulcinella. Tutti lo sapevano, ma nessuno lo diceva chiaramente, forse per temporeggiare in attesa di tempi migliori. I calciatori di Serie A premono affinché sia rivisto il protocollo sanitario avallato dalla Federazione presso il Comitato tecnico-scientifico al servizio del Governo. Questo per motivi abbastanza comprensibili: non tutti sono disposti a restare in ritiro sine die, anche perché non tutte le società dispongono di una sede adatta a preservare la sicurezza sanitaria del ‘gruppo squadra’, ossia un totale di circa 50 persone, tra tesserati, staff tecnico, medico e dipendenti di ogni club.

C’è anche un altro caso spinoso da risolvere: il Governo, nel protocollo approvato dalla Federazione, aveva anche previsto che fossero i medici sociali (o, più in generale, i rispettivi club) a dover assumersi le responsabilità di un eventuale contagio durante la fase di ritiro e/o durante le settimane in cui si proverà a recuperare le 12 giornate (più altri quattro match della 25ª giornata) rimanenti. I medici sociali, dal canto loro, paventano le dimissioni in blocco.

È il classico gioco del cerino: a chi resterà in mano? Chi si assumerà le responsabilità di portare avanti (o di non portare avanti) il campionato?

Il Governo, che, dal canto suo, spinge affinché anche in Serie A valgano le disposizioni sanitarie vigenti su tutto il restante territorio nazionale e per tutte le altre categorie sociali e lavorative?

La Federazione, che, pur di portare a casa l’ultima, corposa, tranche dei diritti tv, è disposta a tutto, anche di far ingoiare ai club e ai calciatori un protocollo palesemente inapplicabile?

I club che, nella maggioranza dei casi, sono favorevoli a ultimare il campionato a tutti i costi, ma che forse non si rendono conto che il protocollo sanitario approvato, così com’è, è inapplicabile ad uno sport di contatto fisico come il calcio?

I calciatori, che sono gli attori principali in scena, e che sarebbero costretti ad andare (o a riandare) in quarantena in massa, qualora si registrasse un caso di contagio all’interno del proprio gruppo squadra? E, in generale, sarebbero quelli più esposti al rischio, comunque la si consideri?

In questo caso, una linea apparente ferma e netta l’hanno presa i gruppi organizzati del tifosi. Praticamente ad ogni latitudine del nostro Paese, gli ultras hanno fatto chiaramente capire che sono contrari alla ripresa del campionato. Questo, sia per motivi di rispetto verso chi è ancora oggi in prima linea a lottare contro il virus, sia verso quelle 31mila persone circa che la battaglia l’hanno persa. “Ci è più lecito pensare che, ancora una volta, la supremazia del denaro vada a calpestare così il valore della vita umana (…). Un sistema basato solo ed esclusivamente su business e interessi personali che, se non verrà ridimensionato quanto prima, porterà ad un solo ed unico fine: la morte del calcio stesso. Si legge così in una nota firmata da decine di curve italiane, sotto il nome di “StopFootball NoFootballWithoutFans” (“non c’è calcio senza tifosi”).

Oggi si proverà ad uscire dall’impasse attraverso un faccia a faccia telematico tra il presidente della Figc, Gravina, i vertici della Lega di Serie A e i rappresentanti dei Medici sportivi. Il punto sarà soprattutto uno: la procedura da seguire in caso di un eventuale positività nel gruppo. In Germania si è raggiunto un accordo che prevede l’equiparazione del caso positivo ad un semplice infortunio: andrà in quarantena solo chi sarà contagiato, e nessun altro. Il protocollo avallato dalla Figc, al momento, prevede che in quarantena precauzionale ci vada tutto il gruppo squadra. Ciò significherebbe stop al campionato.

Ultima annotazione, e non in ordine d’importanza: in Italia, a ieri, 14 maggio 2020, altre 262 persone non ce l’hanno fatta.